Diagnosticare in modo tempestivo e accurato il lieve deterioramento cognitivo (MCI) è cruciale per prevenire l’evoluzione verso forme di demenza, come l’Alzheimer. Da uno studio longitudinale condotto dalla Fondazione Golgi Cenci si sono messi a confronto due tra i principali criteri diagnostici esistenti, fornendo nuove indicazioni su quale sia più efficace per individuare le persone a rischio.

La ricerca, pubblicata su Scientific Reports, ha coinvolto oltre 1000 persone tra i 70 e i 74 anni, seguite per un periodo di 12 anni. Lo studio ha confrontato i criteri “convenzionali” (che includono anche le segnalazioni soggettive del paziente) e i criteri “neuropsicologici” (basati esclusivamente su test cognitivi oggettivi).

Uno degli aspetti più innovativi dello studio riguarda il ruolo del disturbo soggettivo di memoria. I dati mostrano che quando il disturbo è presente insieme a un comprovato deficit nei test cognitivi, il rischio di demenza aumenta sensibilmente, indipendentemente dal criterio diagnostico utilizzato.

📌 Punti chiave dello studio:

  • Il 43,8% dei partecipanti ha ricevuto una diagnosi di MCI con i criteri neuropsicologici, contro il 18,5% con quelli convenzionali.
  • Dopo 12 anni, circa il 15% del campione è andato incontro a demenza.
  • Le diagnosi fatte con i criteri neuropsicologici si sono mantenute più coerenti nel tempo.
  • Il disturbo soggettivo di memoria, se associato a deficit oggettivi, aumenta il rischio di demenza.

🧠 Lo studio è parte del progetto InveCe.Ab, un’indagine epidemiologica sul declino cognitivo e l’invecchiamento cerebrale nella popolazione anziana, condotta nel comune di Abbiategrasso (MI).

🔗 Per approfondire: DOI: 10.1038/s41598-025-04275-y

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